CABALISTI NOTTURNI
Sogni e tecniche oniriche nella Qabbalah
Le interpretazioni dei sogni sono possibili, e hanno senso, perché i sogni sono essi stessi interpretazioni – anche se non di testi stabiliti e immutabili. L‘attività onirica dà comunque origine a qualcosa che è al tempo stesso una realtà indipendente e l’interpretazione di qualcos’altro, per quanto elusivo. Nell’interpretazione freudiana, i sogni riflettono livelli inconsci della psiche: sognando, entriamo in contatto con una realtà diversa, per sua natura celata. In psicoanalisi, il sogno porta in superficie il rimosso, e anche per i cabbalisti i sogni esprimevano in molti casi stati di tensione, frustrazione o repressione. Come tutti gli uomini, anche i cabbalisti sognavano. Immagino che buona parte dei sogni che agitavano le loro notti riguardassero comuni faccende terrene, ma alcuni avevano invece a che fare con le loro particolari preoccupazioni di cabbalisti. Anche i cabbalisti chiedevano insomma ai sogni di risolvere i loro problemi, e non stupisce il fatto di incontrare spesso, nei resoconti che ci hanno tramandato, il tentativo di affrontare una delle questioni centrali dell’esoterismo ebraico: la natura del Nome divino. Sebbene in alcuni casi i sogni dei cabbalisti contenessero temi tipicamente cabbalistici, non è detto che venissero interpretati come Qabbalah, ossia come tradizione esoterica. Tendo anzi a ritenere che per alcuni cabbalisti, in particolare quelli che non li hanno tramandati, i sogni non costituissero argomento di Qabbalah. Se quest’ultima era considerata – come spesso avveniva – una tradizione segreta trasmessa oralmente dalla più remota antichità, in che modo poteva essere generata da sogni personali? Di sicuro i cabbalisti che aderivano a una visione tradizionale della dottrina segreta ebraica non avrebbero accordato agli scherzi inaffidabili dell’immaginazione un vero e proprio status noetico. Altri, tuttavia, lo fecero. È il caso del celebre Hayyim Vital, che raccolse molti sogni propri e altrui, anche di donne e gentili, per dimostrare – principalmente a se stesso – la propria eccezionale statura di cabbalista e di figura messianica. Per valutare l’importanza del sogno nella Qabbalah non è sufficiente l’analisi dei pochi sogni che i cabbalisti hanno tramandato nel corso dei secoli. A mio parere, lo statuto dei sogni nella Qabbalah va giudicato anche in base all’esistenza di tecniche specifiche per indurli. Questo duplice aspetto, ossia il riconoscimento dell’importanza dei sogni – ammessa da molti cabbalisti, ma anche da molti ebrei a digiuno di Qabbalah – e l’esistenza di tecniche per indurli, attende ancora uno studio particolareggiato. Quella che segue va dunque considerata una rapida incursione in un campo largamente inesplorato. A differenza delle tecniche oniriche diffuse nel mondo antico, strettamente connesse – come testimoniano le fonti greche ed ellenistiche – a templi e santuari, le tecniche ebraiche anteriori o successive all’emergere della Qabbalah non sono legate a questo o quel luogo sacro. Esse presuppongono infatti la presenza di un potere divino mobile rappresentato da messaggeri angelici, mentre le descrizioni classiche parlano sempre di luoghi dove era possibile incontrare le divinità. La divinità “forte” che si rivela nei sogni indotti dal rituale dell’incubazione è, come vedremo, qualcosa di molto diverso dalla divinità “debole” della domanda onirica, che trasmette il suo messaggio tramite intermediari angelici o emanazioni del divino nel mondo. Cercherò di mettere in luce le possibili implicazioni di uno studio approfondito della domanda onirica – un genere letterario tanto vasto quanto in gran parte ignorato dagli studiosi moderni di misticismo e di magia – sulla storia e la fenomenologia della Qabbalah. Ritengo che una maggiore consapevolezza dell’importanza e della diffusione della letteratura sulla domanda onirica possa aiutarci a conoscere non solo la magia, ma anche gli aspetti del misticismo ebraico a essa correlati. Nelle pagine che seguono prenderò quindi in esame due importanti raccolte della letteratura cabbalistica cui fino a oggi non si è prestata sufficiente attenzione.
La domanda onirica nella Qabbalah estatica
Alla pratica della domanda onirica si sono interessati, fra gli altri, alcuni discepoli di Avraham Abulafi a, il fondatore della Qabbalah estatica. Sebbene il maestro non l’avesse impiegata in modo esplicito, a volte la pratica della domanda onirica fu associata dai suoi seguaci alla sua tecnica mistica di combinare le lettere per raggiungere un’esperienza estatica. Come vedremo, è accertato che R. Yitzhaq di Acco e l’autore di un’epistola spuria attribuita a Maimonide fecero esplicito ricorso alle domande oniriche, ed è pure evidente in taluni casi la somiglianza fra le tecniche da loro utilizzate a questo scopo e quella esposta negli scritti di Abulafia. È piuttosto sorprendente, tuttavia, che il maestro, Abulafia, non si sia mai dedicato a questa forma di divinazione o di prassi. Certo, tale riluttanza si può spiegare con la sua formazione filosofica, o con la prossimità, anche nelle fasi più tarde della sua carriera di cabbalista, al pensiero di Maimonide. Ma questa spiegazione, per quanto corretta, mi sembra incompleta. Una risposta più complessa ed esauriente potrebbe partire dalla constatazione che alcune tecniche impiegate da Abulafia e il tipo di esperienza descritta in numerosi suoi testi implicano una risposta da ottenere in stato di veglia. Ciò è evidente nei casi in cui Abulafia si serve di tecniche non per raggiungere uno stato di unione mistica con il divino, ma per ottenere rivelazioni che assumono la forma di dialoghi tra il mistico e le potenze angeliche, ossia le immagini metaforiche dell’Intelletto Agente – nome con cui, ricordiamolo, si designa quell’intelletto spirituale, separato dalla materia, che per tutto il Medioevo svolse un ruolo rilevante nella gnoseologia della tradizione filosofica ebraica, e in alcuni casi anche di quella mistica. Questa situazione dialogica mi pare molto simile ad altre in cui gli angeli forniscono risposte a un uomo in stato di veglia, dopo che questi ha fatto ricorso a ricette magiche. In un esiguo numero di ricettari per la domanda onirica l’affiorare della risposta è descritto come una rivelazione di grado superiore a quella di un’apparizione magica. Forse non è una mera coincidenza il fatto che una breve citazione dal testo di Abulafia Hayye ha-‘olam ha-ba si trovi unita ad alcune ricette magiche per la domanda onirica. Ancor più significativa, in un importante testo di Abulafia, è la descrizione della sua Qabbalah: “L’altra parte [della dottrina cabbalistica, cioè quella estatica] consiste nella conoscenza di Dio per mezzo delle ventidue lettere:ida esse, come pure dai loro segni vocalici e dagli accenti per la cantillazione, sono composti i Nomi divini e i sigilli.iiEssi parlano con i profeti nei loro sogni, negli Urim e Tummim,iiinello Spirito divino e durante la profezia”. Qui Abulafia presenta una scala ascendente di stati divinatori: sogni, Urim e Tummim, Spirito divino e profezia. Comune a tutti è l’idea che la rivelazione sia associata ai Nomi divini, o indotta da essi. Sappiamo dai manuali mistici di Abulafia che la visione dei Nomi divini è parte della rivelazione che ottiene chi abbia usato quei Nomi come elementi della tecnica mistica. Ad esempio, in un passo di Hayye ha-‘olam ha-ba, le lettere del Nome divino di settantadue lettere appaiono davanti agli occhi del mistico alla maniera degli angeli. Nell’interpretazione di molti commentatori ebrei la tecnica mantica degli Urim e Tummim è connessa al Nome divino di settantadue lettere. Qui l’aspetto più interessante è che Abulafia attribuisse a questa forma di coscienza un ruolo nella profezia, mentre la maggior parte degli altri pensatori considerava il sogno come una forma di conoscenza inferiore. Pur non potendo essere dimostrato in via definitiva, il nesso tra sogno e impiego di Nomi divini come tecnica onirica è, a mio parere, evidente. Si ricorderà infatti che già diverse ricette magiche sulla domanda onirica comportavan l’utilizzo dei Nomi divini. E in varie ricette il ricorso alla tecnica della domanda onirica si considera necessario, in quanto gli stati di coscienza connessi con gli Urim e Tummim, lo Spirito divino e la profezia non sono più accessibili. Così, ad esempio, in una ricetta magica all’interno di una preghiera rivolta a Dio si legge: “Dio, mi Signore, fa’ che la mia supplica possa venire davanti a Te e rispondi alle domande che Ti rivolgo; a causa dei nostri peccati, non abbiamo né un profeta, né un sacerdote, né gli Urim e Tummim, e lo Spirito divino non è più tra di noi, e questo è il motivo per cui ora domandiamo per mezzo del Tuo Nome”. Oltre all’enumerazione di formule divinatorie molto simili, questa ricetta ha un ulteriore tratto in comune con Abulafia, e in particolare con un passaggio del suo libro di profezie Sefer ha-ot, dove il Nome divino “inciso nel mio cuore” viene menzionato come parte essenziale dell’interrogazione. Passerei ora a un’illuminante osservazione di unon dei seguaci di Abulafia, R. Yitzhaq di Acco: “Io, il giovane Yitzhaq di Acco, stavo dormendo nel mio letto, e alla fine della terza guardia una mirabile domanda onirica mi si è rivelata, in una vera visione come in uno stato di perfetta veglia, e questo è [il versetto] “tu sarai perfetto verso il Signore tuo Dio” (Dt, 18, 13) “perfetto sarai tu verso il Signore tuo Dio”…ivEcco, dodici combinazioni delle cinque parole, che alludono alle dodici lettere del Nome [divino] ybqve alle dodici combinazioni; il numero delle parole di queste dodici combinazioni è sessanta, e, vedi, “intorno al letto di Salomone c’erano sessanta valorosi” (Ct, 3, 7 ), “sessanta erano le regine” (Ct, 6, 8-9 ) e sessanta sono pure i trattati [del Talmud], e questo è il motivo per cui l’esperto che li conosce in modo veritiero è chiamato ga’on, che equivale al numero sessanta. Le parole del versetto sono cinque [e sommate a sessanta] sono equivalenti a Adonay.viE dopo aver visto ciò, ho creduto [opportuno] pensare immediatamente alle lettere del Tetragramma così come esse vengono pronunciate. Tuttavia, le ho pensate in una meditazione concettuale, riflessiva, intellettuale, non in una maniera che arriva dal cuore alla gola, e a fortiori alla lingua, poiché chiunque lo faccia, a causa di questo grande peccato viene bandito dalla vita del mondo a venire; infatti, chiunque pronuncia il Nome sublime e meraviglioso, secondo le Sue lettere, non ha parte nel mondo a venire. Il modo in cui dovresti immaginarlo nella tua mente, nella domanda onirica è il seguente, che è la vera via: y yod yod; h hh’ hhh hhy; w www ww’w wyww; h hh’ hhh hhy; ogni prima lettera [del Tetragramma] è la più importante, e deve essere sempre pronunciata insieme alle altre lettere”. R. Yitzhaq riceve dunque, in sogno, una tecnica per le domande oniriche. Il cabbalista deve pronunciare le lettere del Nome divino presenti in un versetto biblico, cambiando l’ordine delle parole; la pronuncia di queste ultime, tuttavia, è proibita dalla legge ebraica, proibizione che invaliderebbe la possibilità stessa di ricorrere a quel versetto. La soluzione offerta, sempre in sogno, è combinare ogni lettera del Tetragramma con tutte le altre; in tal modo ci si attiene al versetto originale, ma senza pronunciare le lettere del Nome divino nella forma e nell’ordine in cui esse compaiono nel testo biblico. In una certa misura, non si tratta di una soluzione inedita. È infatti piuttosto simile alla tecnica di Abulafia, che prevede di pronunciare le lettere del Nome divino combinandole con ciascuna delle altre lettere dell’alfabeto ebraico. Ma qui pare di scorgere una consapevolezza profonda dei problemi teologici e giuridici legata al profondo interesse d R. Yitzhaq per la Qabbalah estatica, in cui la combinazione di lettere dei Nomi divini svolgeva un ruolo fondamentale (“Qabbalah dei Nomi divini” era una delle definizioni che Abulafia dava al suo sistema). Mi chiedo a questo punto se l’uso della formula “la vita del mondo a venire” non faccia riferimento all’omonimo manuale di Abulafia, che attribuisce un ruolo fondamentale alla tecnica combinatoria. Nel libro da cui è tratta la citazione precedente, R. Yitzhaq si occupa di un argomento che compare solo nel libro di Abulafia: la definizione di Metatron, ovvero l’Intelletto Agente, come senex (shek) e puer (na‘ar) allo stesso tempo; un’apparente contraddizione da riportare nell’orizzonte della Qabbalah, e da comprendere alla luce del significato che questo termine aveva per la scuola di Abulafia. Già alla fine del XIII secolo il sogno era dunque ritenuto una forma di coscienza legittima, capace di generare contenuti legati non solo ai concetti astratti della Qabbalah, ma anche a pratiche connesse con un aspetto molto delicato della dottrina. Il passo citato non è il solo in cui R. Yitzhaq tratta della domanda onirica. Altrove egli menziona un anonimo cabbalista, che lo avvicinò allo scopo di “fare per lui una domanda onirica” e spiegargli per quale ragione “la sua stella era debole” e non emetteva la luce che lui avrebbe voluto. Anche senza esaminarne i dettagli, il contenuto del testo è sufficiente a dimostrare che i cabbalisti praticavano – e discutevano fra di loro – l’oniromanzia. Infine, per descrivere il particolare stato di coscienza in cui si trova quando ottiene alcune rivelazioni, R. Yitzhaq usa a più riprese l’espressione nim we-lo nim, che compare già nel Talmud e indica “uno stato insieme di veglia e di sogno”. È proprio in questi stati intermedi della coscienza che si manifestano molte delle sue rivelazioni. È plausibile che si rifletta qui una certa influenza del Sufismo. Un altro cabbalista estatico che ricorse a tecniche oniriche è Yehudah Albotini, autore di origine portoghese attivo a Gerusalemme agli inizi del XVI secolo. Celebre halakista, Albotini compose uno dei trattati più sistematici di Qabbalah estatica, il Sullam ha-‘aliyyah (“La scala dell’ascensione”), basato su tecniche mistiche trascritte dai libri di Abulafia. Nel presentarle, Albotini si dice consapevole dei rischi cui si espone l’aspirante mistico, al quale consiglia di ottenere, prima di cominciare qualsiasi pratica, il permesso del Cielo. Si temeva infatti che la conoscenza dei Nomi divini potesse essere utilizzata per fini non solo mistici, ma anche magici o escatologici. Il permesso poteva essere ottenuto ricorrendo alla tecnica che abbiamo menzionato sopra, e cioè la she-‘elat halom (domanda onirica). Il nesso proposto da Albotini fra Nomi divini, domanda onirica e imprese messianiche ricorda una situazione vicina al circolo dei cabbalisti legati al Sefer ha-meshiv, che descriveremo poco oltre. Fin qui abbiamo esaminato i passi di tre cabbalisti estatici: Avraham Abulafia, Yitzhaq di Acco e Yehudah Albotini. Come già detto, anche un’epistola anonima attribuita a Maimonide, e ispirata dalla scuola di Abulafia, tratta della domanda onirica. È altrettanto importante ricordare che nella Qabbalah estatica, il cui studio e i cui esercizi pare fossero una pratica diurna, tecniche ed esperienze mistiche vengono generalmente descritte come eventi notturni – in armonia, del resto, con lo studio della Torah e della Qabbalah non estatica, che si raccomandava avvenisse durante la notte. Nondimeno, mentre per molti cabbalisti notturni l’evento rivelatore può verificarsi in sogno, per Abulafia la forma di coscienza privilegiata è lo stato di veglia, anche nel caso in cui la rivelazione avvenga durante la notte. Sogni e tecniche oniriche nella Qabbalah magica. Il “Sefer ha-meshiv” Mi occuperò ora di un fenomeno più tardo, che nella sua prima fase si sviluppa in Spagna, ed è legato a una corrente che non ha nulla a che fare con la Qabbalah estatica. La seconda fase comincia invece dopo l’espulsione dalla Spagna, e rappresenta una combinazione fra la Qabbalah teosofico-magica e alcuni elementi di quella estatica. La domanda onirica raggiunge il suo apice in un insieme di opere che ancora attende un esame dettagliato, ovvero la letteratura legata al Sefer ha-meshiv (“Il libro dell’Entità che risponde”). Questo vasto corpus letterario, trasmesso quasi esclusivamente in forma manoscritta, si diffuse in tutto il mondo ebraico, e ciò che ne resta ammonta a un migliaio di pagine in folio, probabilmente una piccola parte di una letteratura molto più ampia, oggi perduta. Ritengo che il materiale sia stato trascritto perlopiù in Spagna, forse in Castiglia, intorno al 1470. In questo testo il sogno acquista, all’interno della Qabbalah, un’importanza enorme, al punto che l’autore dell’opera si riteneva fosse, niente meno, Dio stesso, oppure uno degli arcangeli più rispettati, ad esempio ‘Azri’el. Nei sogni Dio e vari arcangeli parlano in prima persona, rivolgendosi direttamente al cabbalista. A volte tentano di risolvere qualche problema personale, ma in genere trattano questioni di natura cabbalistica. Non voglio addentrarmi nei dettagli dei sogni, che pure in questo caso sono molto interessanti, e decisamente curiosi. Preferisco concentrarmi sulle tecniche per indurli, in altre parole per convincere Dio e gli angeli a rivelarsi nei sogni. Rabbi Avraham ben Eli‘ezer ha-Lewi, che era una delle figure più singolari tra gli ebrei espulsi dalla Spagna, e conosceva bene gli scritti composti nel circolo del Sefer ha-meshiv, ci offre una confessione particolarmente schietta del suo ricorso alla tecnica onirica: “Coloro che sono esperti nelle conversazioni con gli angeli officianti per mezzo della domanda [cui viene risposto] in sogno, o per mezzo della domanda [cui viene risposto] nello stato di veglia, sanno che l’angelo che risponde, risponde a volte in modo chiaro, con una risposta che è soddisfacente, e a volte per mezzo di un’allusione, e con una risposta ambigua, mentre a volte non risponde affatto, dal momento che non è un obbligo per gli angeli officianti rispondere a chiunque domandi, a fortiori quando qualcuno pone una domanda su un tema non appropriato, o che l’angelo non ha il permesso di rivelare, o di cui non conosce la risposta, poiché non tutti i temi sono noti agli angeli officianti”. A volte i temi sui quali si dovrebbe evitare di porre domande sono i più avvincenti. Tanto per fare un esempio, a un ebreo spagnolo che viveva nelle terribili condizioni del periodo precedente all’espulsione poche cose potevano stare più a cuore della venuta del Messia. Eppure proprio su questo argomento ha-Lewi consiglia di non porre domande, benché egli stesso tenti di interpretare, ricorrendo a una tecnica onirica, la risposta data a qualcun altro in un sogno in cui il Re del Nord altri non sarebbe che Selim I, il conquistatore dell’Egitto nel 1517. Il Re del Nord era considerato un personaggio del dramma messianico, e la tensione escatologica in ha-Lewi è piuttosto esplicita. In un primo momento ha-Lewi riceve in sogno risposte ambigue, ragione per cui si ostina a chiedere chiarimenti. La tumultuosa situazione politica tra la fine del XV e l’inizio XVI secolo, unita al dramma dell’espulsione, spingono il febbrile cabbalista messianico a ricorrere a una tecnica che lui per primo raccomanda di non utilizzare. Egli chiede infatti esplicitamente quando verrà il Messia, e la risposta che riceve è: “Molto presto”. Ha-Lewi parla al plurale delle persone coinvolte nell’interrogazione agli angeli. È probabile che si riferisca a figure del passato, tuttavia potrebbe anche alludere a suoi contemporanei, dato l’uso di una formula come “l’angelo che risponde” (ha-mal’ak ha-meshiv), del tutto identica al titolo di una parte della letteratura cabbalistica di cui stiamo parlando. Inoltre, ha-Lewi è la prima fonte conosciuta a descrivere l’impresa messianica della più nota figura del circolo di cabbalisti che gravitavano intorno al Sefer ha-meshiv: Rabbi Yosef Della Reina, illustre rappresentante della magia ebraica. Della Reina tentò l’impresa di attrarre verso il basso i due prìncipi delle potenze del male, Sama’el e Ammon di No, allo scopo di legarli e permettere così la venuta del Messia. Particolari come questo, oltre ad affinità più marginali tra l’opera di Della Reina e la letteratura del Sefer ha-meshiv, porterebbero a ritenere che nella sua epistola ha-Lewi descrivesse non solo tradizioni antiche o medioevali, ma anche pratiche adottate in un circolo attivo in quegli anni in Spagna. Ora vorrei proporre una citazione tratta dal Sefer ha-meshiv, dove si confrontano le rivelazioni del profeta Elia agli antichi perfecti con le rivelazioni contemporanee. In questo brano, Dio si rivolge in prima persona al cabbalista: “Quando egli [Elia] è asceso in cielo, ha acquistato il potere della spiritualità, proprio come un angelo, di ascendere e di farsi corporeo e discendere [poi] in questo mondo inferiore dove tu vivi, per compiere miracoli o per rivelare la Mia potenza e la Mia dynamis nel mondo. Ed egli causa la discesa della Mia potenza nel mondo, con forza e costrizione, dal Mio grande Nome, che è parte di lui.viiE per via di questo grande segreto non ha assaggiato la morte, cosicché sarà in grado di causare la discesa della Mia potenza e rivelare il Mio segreto attraverso il potere dei Miei Nomi preziosi. Ed è chiamato “l’uccello del cielo porterà la voce” (Qo, 10, 20) e nessuno deve avere alcun dubbio su questo. Egli si rivelava agli antichi devoti in un corpo spirituale, che era avvolto e incarnato nella materia, ed essi parlavano con lui in virtù della loro devozione, ed egli si rivelava in corpore et in spiritu. Questa è la ragione per cui coloro che sognano un sogno causano la discesa della Mia potenza, attraverso la sua mediazione, dentro di te, senza una parola o una voce, e questo è il segreto [del versetto]: “Ché questa è la vostra saggezza e intelligenza agli occhi dei popoli” (Dt, 4, 6). E la Mia potenza è legata a lui [ossia a Elia o al suo nome] ed egli è legato alle vostre anime e rivela a voi i segreti della Mia Torah, senza una parola. E verrà un tempo, molto presto, in cui egli si rivelerà a te in corpore et in spiritu e questo sarà un segno della venuta del Messia. E scendendo in terra insieme a lui [il Messia] allora [Elia] si rivelerà in corpore et in spiritu e molti altri lo vedranno”. Il divino oratore distingue l’èra messianica e i tempi antichi – in cui gli uomini devoti erano in grado di vedere il profeta Elia in corpo e in spirito – dalla situazione presente, nella quale una rivelazione diretta e corporea sembra impossibile. In luogo della visione forte in stato di veglia viene qui accordata una rivelazione onirica, in cui la potenza divina è legata a Elia, a sua volta legato alle anime dei dormienti, e ai loro sogni. In altri termini, Elia continua a rivelarsi, almeno nei sogni di alcune persone, recando con sé la potenza divina. In questa citazione, è interessante che la rivelazione senza parole del tempo presente sia considerata inferiore a quella corporea dei giorni antichi e futuri. La visione del corpo e la parola udibile sono ritenute superiori alle rivelazioni in sogno, percepibili solamente dal sognatore, mentre le rivelazioni spirituali, oniriche e private sono giudicate forme meno potenti di captazione dei messaggi celesti. La redenzione comporta, fra l’altro, la possibilità di vedere in stato di veglia ciò che nei sogni possiamo solo intuire. Nel sogno Elia rivela i “segreti della Torah”, espressione usata per indicare temi cabbalistici. Sognare significa dunque aprirsi al mondo in cui l’incontro con il divino è ancora possibile – benché in qualche modo mediato da un potere quasi angelico. Ma Elia, e Dio, non erano i soli visitatori notturni dei cabbalisti, che potevano sognare, ad esempio, anche i due grandi prìncipi delle potenze del male – e non a caso Dio fornisce una tecnica, o una formula, per richiamarli: “Il modo lecito in cui potrai far discendere qualunque potere maligno o satanico, è quello di invocare il suo nome, e il modo che ti sarà detto, sarà quello vero. Devi dire così: “Io ti scongiuro, tal dei tali Ammon di No, ministro dell’impurità, che siedi alla sinistra di Sama’el, [vieni] con un arco teso nella tua mano destra, e l’abominio della croce nella tua mano sinistra, vieni questa stessa notte, in un sogno, o questo giorno, in un sogno, e fa’ il mio desiderio con la parola o senza parola”. Menziona quindi ciò che desideri, e lui verrà e si rivelerà a te nell’aspetto di un uomo che cavalca un asino nero o un asino bianco, in questi due aspetti si rivelerà a te”. L’invito rivolto ai prìncipi dei demoni può avere effetti pratici importanti, come la rivelazione di segreti alchemici o di tesori nascosti. Ma, come dicevo, non vorrei affrontare qui il contenuto dei sogni. Quella che precede non è, evidentemente, una semplice invocazione, ma una formula che Dio rivela al cabbalista, consentendogli di provocare la discesa delle potenze del male. Non si tratta dunquedi un’iniziativa dei poteri maligni, ma del risultato del ricorso a una tecnica che è stata svelata da Dio e che deve essere intesa come cabbalistica. Al pari del profeta Elia, Ammon di No “viene” in un corpo spirituale, e può rivelare il suo messaggio servendosi o meno della parola. Mentre il profeta giunge insieme al Messia, Ammon di No può arrivare su un asino bianco, chiaro accenno al ruolo messianico della rivelazione. Tuttavia, il fatto più sorprendente è che, proprio come Elia, il demone sia ritenuto in grado di produrre Qabbalah. Appunto per questo si raccomanda al cabbalista di non porre domande sciocche riguardo alla Torah, perché in quel caso il demone non sarebbe in grado di fornire alcuna risposta. Ciò significa che se qualcuno pone ad Ammon di No una buona domanda può ricevere una buona risposta. A mio avviso, il cabbalista si preoccupa anche di mostrare come angeli e demoni si manifestino tra noi in modo del tutto simile. Egli afferma che le potenze demoniche possono operare con o senza parola, e possono anche essere emissari di Dio nel mondo inferiore: “Sappi che le potenze dell’impurità quando scendono in terra possono compiere le mie missioni in due modi: con la parola e senza la parola. E udirai una voce vera se lo vorrai, e parlerà in un sogno come quando due amici parlano l’uno con l’altro, e ascolterai una risposta a ogni cosa tu potrai chiedere a lui, anche sulle vanità di questo mondo, ma non sulla Torah. E qualunque cosa dica sui suoi argomenti [ovvero sulla demonologia], dovrai crederla, a eccezione del culto idolatrico, cui non si deve prestar fede”. Inoltre, se nel tempo che precede la redenzione non è possibile vedere Elia in stato di veglia, parimenti l’invocazione di Ammon di No in stato di veglia sarebbe considerata, di fatto, una trasgressione. Il Sefer ha-meshiv è piuttosto esplicito al riguardo: “Ed è vietato farlo venire [Ammon di No] in stato di veglia, perché in tale stato non puoi evocarlo senza l’incenso, per veder[lo] con i tuoi occhi, come abbiamo già scritto all’inizio di questa visione riguardo al segreto di Giacobbe; malgrado il fatto che egli [Giacobbe] fosse un profondo cabbalista, più sapiente di quelli che lo precedettero e di quelli che vennero dopo di lui, non fu capace di vederlo se non in sogno, ma solo Mosè … e ti ho già detto che non ti è permesso farlo venire in stato di veglia e ascoltare la sua parola nel modo e nel segreto in cui parlo oggi con te”. Nello stesso contesto è detto anche: “Tutti gli atti di Sama’el sono legati all’incenso, e io ti proibisco il segreto dell’incenso, ed è proibito nella Torah.E il segreto dell’incenso è di attrarre il potere dei demoni e degli esseri maligni in modo esplicito, in modo che tu li possa vedere con i tuoi occhi, e questo è il segreto che si trova nell’incenso, e tutti i suoi poteri e tutte le antiche [nazioni] e quelle contemporanee operano con l’incenso, ma non conoscono il suo segreto. Sappi che il segreto dell’incenso è un grande segreto, e riguarda la Mia Divinità, e questa è la ragione per cui questo segreto è scritto nella Torah, per allontanare da te il potere di tale impurità, e il potere del puro incenso sarà spiegato altrove, la sua tradizione è che il suo segreto sia quello di legare lo sposo alla sposa”.viii Dunque Ammon di No si può incontrare solamente in sogno, dal momento che la tecnica per indurlo ad apparire in stato di veglia comporta un ricorso all’incenso, considerato idolatrico. Il passo che definisce demoniaco il rituale dell’incenso è apertamente anticristiano. Per evitare qualsiasi forma di imitazione dei riti cristiani, il cabbalista deve invocare i demoni solo in sogno: “Ti supplico di venire immediatamente, senza alcun ritardo o impedimento, vieni a me in un sogno notturno o in un sogno diurno, mentre sono addormentato, non mentre sono sveglio”. I cabbalisti che composero il Sefer ha-meshiv intendevano dunque evocare, nei sogni, le potenze soprannaturali. E dedicavano molta attenzione anche al modo in cui tali potenze comunicano con il sognatore – ad esempio, in molti casi, proponendo un versetto biblico che costituisce un indizio della risposta, come del resto si usava nelle pratiche oniriche in voga tra gli ebrei nel Medioevo. Così, il legame tra le potenze soprannaturali e l’uomo sono i versetti biblici, conosciuti da “tutte le parti” coinvolte nell’impresa onirica. Questa tecnica ha alcuni punti di contatto con la bibliomanzia, l’arte di trovare risposte aprendo la Bibbia a una pagina qualsiasi. In altri casi era considerato come una forma di profezia l’affiorare di un versetto alla mente. Tali tecniche possono contribuire a una migliore comprensione dei processi psicologici in questione nel Sefer ha-meshiv. In uno stato di coscienza indotto da particolari preparazioni emerge un versetto, che collegato dall’interpretazione a circostanze o dettagli diventa una risposta. In un altro brano sulla rivelazione di Elia a grandi maestri dell’Ebraismo il ruolo dell’interpretazione nelle visite notturne è ancora più evidente: “La questione della “veste”ixdell’angelo parlante che andrà da qualcuno e gli insegnerà la Torah. Ho trovato scritto nel libro Mar’ot le-Maggid: e l’angelo [che si rivela] è chiamato ‘Azri’el ed egli ha rivelato a lui [al cabbalista] segreti grandi e nascosti che nessuna bocca può rivelare … Devi sapere che il segreto che porta alla discesa del libro celeste è il segreto della discesa del carro celeste,xe quando pronunci il segreto del Grande Nome, immediatamente discenderà in basso la potenza della “veste” che è il segreto di Elia, menzionato nelle opere dei saggi. Fu grazie a tale segreto che Shim‘on bar Yohay e Yonatan ben ‘Uzzi’el appresero la loro sapienza meritando il segreto della veste, per potersene rivestire. Hanina, Nehunya ben ha-Qanah, R. Aqiva, Yishma’el ben Elisha e il nostro santo Rabbi [Yehudah ha-Nassi] e Rashi e molti altri la appresero similmente. E il segreto della “veste” è la visione della “veste” indossata dall’angelo di Dio, con occhio corporeo, ed è lui che ti parla, poiché non hai meritato di vederlo come essi lo videro; essi ricevettero questo privilegio poiché avevano uno spirito puro e avevano meritato la visione. E il segreto della veste fu rivelato a coloro che temono Dio e meditano sul Suo Nome; essi l’hanno visto, gli uomini di Dio degni di tale stato. [Ognuno di loro] digiunava quaranta giorni ininterrottamente e durante il suo digiuno pronunciava il Tetragramma quarantacinque volte,xie il quarantesimo giorno [la veste] discendeva su di lui e gli mostrava tutto ciò che voleva [conoscere], e rimaneva con lui fino al completamento [dello studio] del soggetto che voleva [conoscere]; ed essi [Elia e la veste] stavano con lui giorno e notte. Così accadeva ai giorni di Rashi al suo maestro, e questi insegnò a lui questo segreto [della veste] e per suo tramite Rashi compose ciò che compose, per mezzo del suo mentore e maestro.xiiNon credere che Rashi abbia scritto solo sulla base della sua ragione; operò così in virtù del segreto della “veste” dell’angelo e del segreto della mnemotecnica, per risolvere le domande che venivano poste o per comporre qualsiasi libro si desiderasse comporre; in questo modo venivano ricopiatexiiile scienze, unaper una. Con queste tecniche gli antichi saggi hanno appreso da lui innumerevoli scienze. Ciò accadde al tempo del Talmud, all’epoca del maestro di Rashi e anche ai giorni di Rashi, dal momento che il suo maestro iniziò questo [uso] e Rashi lo concluse; ai loro tempi questa scienza [come ricevere rivelazioni] si trasmise oralmente da un uomo all’altro, ed ecco perché i saggi d’Israele si basano su Rashi, perché a quel tempo conoscevano il segreto. Pertanto non credere assolutamente che Rashi abbia composto il suo commento al Talmud e al significato letterale della Bibbia sulla base della sua ragione, ma per mezzo di questa potenza del segreto della veste e della [potenza] che la indossava, la quale era un angelo, poiché per mezzo suo poteva conoscere e comporre ciò che voleva. Questa è [la potenza] che eleva le lettere del Nome divino verso l’alto,xive attrae in basso il segreto del Carro e il pensiero di Dio. E coloro che erano in grado di vedere erano come profeti e all’epoca del Talmud molti ne fecero uso. In seguito, coloro che seguivano questa scienza divennero meno numerosi, e fecero ricorso alla “figlia della voce” [Bat Qol ], e la figlia della voce è chiamata “voce superna”. Si ode una voce proprio come quella umana, e non si vede nessun corpo, solo una voce che parla”. In molte fonti cabbalistiche Elia è considerato un angelo, e quindi per discendere in questo mondo deve, secondo la dottrina del Sefer ha-meshiv, utilizzare una veste. Tuttavia, come risulta dai passi citati, egli stesso è una veste della potenza divina che scende quaggiù. Dio, nascosto dentro Elia, discende per mezzo di una veste che consente sia a Lui che all’angelo di agire nel mondo materiale. La veste richiama le teorie gnostiche e neoplatoniche sulla discesa delle entità spirituali nel mondo materiale. In base alle citazioni precedenti, ritengo che questo passo debba essere messo in relazione con la discesa del profeta Elia e con la sua apparizione in sogno a grandi personaggi della storia ebraica, per lo più protagonisti della letteratura mistica. Così, per esempio, i primi due nomi citati sono quelli di due celebri “mistici” dell’Ebraismo antico: il primo è l’eroe principale del libro dello Zohar, al quale è stato apocrifamente attribuito il testo; il secondo è l’autore di quella traduzione della Bibbia in aramaico che nel Medioevo divenne un classico. Può darsi che l’autore del Sefer hameshiv li menzioni assieme poiché entrambi furono “interpreti” della Torah, così come Rabbi Shelomoh ben Yitzhaq, detto Rashi, il principe degli esegeti ebrei, che interpretò sia la Bibbia sia il Talmud. Secondo questo testo, tutti i loro risultati furono conseguiti grazie alla conoscenza del segreto della veste, che permette di ottenere rivelazioni da Elia, fonte diretta delle loro opere. Se le principali attività letterarie sono notturne – e indotte così da svolgersi in sogno -, la parte più significativa dell’Ebraismo canonico è concepita come una rivelazione ininterrotta – che si va affievolendo da quando i maestri hanno dimenticato il segreto della veste. L’attività letteraria in stato cosciente è dunque sintomo di oblio, di decadenza, della mancanza di un contatto diretto con la fonte ultima della conoscenza e del potere. Questa è una critica radicale a ciò che qualcuno chiamerebbe razionalità, ma che il cabbalista designa come “filosofi a greca”, stigmatizzandone le “deleterie” ripercussioni sull’Ebraismo. L’abbandono della Torah è causa dell’esilio perché la filosofia ha invaso la cultura ebraica. Il ritorno al sogno è dunque un ritorno a una relativa autenticità, in quanto solo in sogno è ancora possibile incontrare Dio, solo in sogno i segreti dimenticati della Torah possono essere rivelati, o recuperati. In termini che ricordano quelli dei manifesti dadaisti o surrealisti, il cabbalista invoca una rivoluzione mentale che restituisca al sogno il ruolo creativo che gli è proprio. In questa visione, il giorno favorisce il chiarore della filosofia, la notte la più misteriosa conoscenza cabbalistica. Non si tratta di un suggerimento teorico; una parte significativa del vasto corpus letterario che appartiene a questo circolo è stata infatti scritta in forma di risposte alle domande dei cabbalisti, risposte fornite in sogno da Dio o dagli angeli. Tuttavia, in un pensiero orientato in senso evolutivo, e in attesa di un’imminente redenzione, il sogno non è destinato a rimanere per sempre il luogo della creatività. Nel tempo messianico sarà infatti superato dal ritorno all’incontro pieno e “normale” tra la forma corporea di Dio ed Elia, e dalla ricezione effettiva della voce superna. Nel frattempo, i sogni possono salvare il cabbalista dalle insidie della filosofia. L’immagine della veste è centrale in molte discussioni sulla rivelazione contenute nel Sefer ha-meshiv. Qui ne riportiamo solo due tra le molte che trattano della vestizione nell’àmbito della discesa. Dio scende in una doppia veste: è presente nell’angelo Elia e rivestito di lui, e a sua volta l’angelo per scendere nel mondo indossa una veste. Le vesti indossate dalla Divinità servono da una parte a rivelare il Suo potere in questo mondo, e dall’altra a svelare i segreti della Torah. Dio si copre solo per potersi scoprire. Questo scoprirsi, o rivelarsi, è insieme rivelazione della potenza divina e dei segreti della Torah. Apprendiamo ad esempio che “la Mia Torah è stata dimenticata in questa generazione malvagia, che è colpevole, e verrà dimenticata [anche] di più. Questa dimenticanza della Mia Torah è stata la causa dell’esilio, poiché essa porta la libertà al mondo. E poiché è stata dimenticata, d’ora innanzi voglio rivelarla e mostrare la Mia mano e la Mia potenza nel mondo. Questa è la ragione per cui in questo libro, chiamato Il rivelatore dei segreti della Torah, tutti i segreti e le tradizioni mistiche verranno spiegati, e annunceranno chi sono Io e chi è la Mia potenza e che cos’è la mia dynamis. E il tempo per rivelarlo è giunto”. Più avanti l’autore scrive: “Ecco la nuova Torah, giacché non comprendi affatto i segreti della Mia Torah e il segreto dei Miei prodigi, ma li rivelerò a te, come vedrai più tardi, e [allora] saprai e capirai che “c’è Dio in Israele”. L’estremo oblio dà inizio a una nuova rivelazione. Dio e la Sua Torah sono stati dimenticati, e per questa ragione Dio deve scendere nel mondo e spiegare i segreti della Torah, che riveleranno la Sua gloria perduta. Questa rivelazione fondamentale corrisponde al tempo della redenzione, un tema che ricorre spesso nel testo. La forma corporea, i segreti della Torah, la potenza di Dio, la voce forte sono sintomi naturali e positivi di esperienze rivelatorie che sembrano in aperta contraddizione con le interpretazioni intellettualistiche proposte dai filosofi ebrei influenzati da Aristotele. L’immagine della Torah dimenticata può avere un legame con la nozione della veste della Torah. Secondo molti testi cabbalistici, incluso lo Zohar – ben noto all’autore del Sefer ha-meshiv -, i segreti della Torah sono la parte più profonda della Torah, mentre il suo senso letterale è considerato esplicitamente come una veste. In una famos parabola dello Zohar, la Torah si rivela al mistico sollevando il velo e mettendo così a nudo i suoi segreti. Le tecniche oniriche cabbalistiche sono lo strumento con cui si può raggiungere Dio in sogno, e Dio, da parte sua, si serve del sogno per rivelare se stesso e i segreti della Torah. Analizziamo più in dettaglio il tema della voce. In uno dei brani citati si dice esplicitamente che la rivelazione può avvenire attraverso o senza la parola. Inoltre, Elia era considerato colui che trasmette la voce. Già nella corrente principale della Qabbalah, quella teosofico-teurgica, ricorre spesso l’idea della discesa della voce come metafora importante del processo di emanazione. Ciò è evidente nello Zohar, ma anche in molti altri scritti cabbalistici. La discesa emanativa neoplatonica, chiamata processio, che comincia nella sfera interamente spirituale e finisce nella realtà corporea, è stata descritta come una parola che ha inizio con il pensiero divino, la seconda sefirah, diventa una “voce interiore” nella terza sefirah, una voce più esplicita o forte nella sesta sefirah, e infine un discorso articolato nell’ultima sefirah. È piuttosto interessante che nella teoria del Sefer ha-meshiv i poteri angelici diventino parte del dispiegarsi della parola divina quaggiù. Vorrei riportare un’altra citazione relativa alla parola: alla domanda se gli angeli parlino fra loro come gli uomini, l’angelo Gabriele risponde “Sappi che su questo argomento ti annuncio in breve che quando essi vogliono parlare l’uno con l’altro per una certa attività, non hanno bisogno di parlare effettivamente, ma fanno degli accenni, e si comprendono l’un l’altro per via di un potere spirituale, come tu oggi, che stai scrivendo, benché io non ti parli ma metta le mie parole nella tua bocca”. Dunque la rivelazione passa per una voce – ma si tratta della voce di colui che riceve, utilizzata dal potere angelico per rivelare il messaggio che viene dall’alto. La bocca del cabbalista è dunque l’organo di ricezione principale, e l’angelo uno strumento che conferisce potere spirituale all’uomo? A mio parere questa è una descrizione efficace del punto di vista dell’autore del Sefer ha-meshiv, che come abbiamo visto immagina Elia sia come veste di Dio che come entità connessa all’anima dell’uomo. L’anima del cabbalista è dunque pensata come un medium attraverso cui il messaggio divino si articola in parole distinte e udibili. Questa trasformazione avviene forse in sogno? Se si ritiene che Elia riveli se stesso nel tempo presente solo in sogno, la risposta dovrebbe essere sì. Ma allora come può il messaggio annunciato da un cabbalista dormiente diventare reale, e assurgere a dignità di libro? La soluzione è la comparsa di una seconda figura, un amanuense, che ascolta la pura voce – senza vedere alcunché – e mette per iscritto il messaggio, come fosse stato generato dal sognatore. In altre parole, la rivelazione in sogno può essere vista come uno stato di possessione in cui un angelo si impadronisce sia dell’anima che della bocca. Il corpo umano diventa allora la veste dell’angelo, il quale a sua volta è la veste di Dio. Dio parla tramite la mediazione dell’angelo, e attraverso la bocca dell’uomo. In un secondo passaggio, la voce umana viene trascritta. A proposito dei nomi dei quattro fiumi del Paradiso, l’anonimo autore del Sefer ha-meshiv scrive esplicitamente: “Per la domanda in sogno non ci sono [nomi] migliori di quelli. Recitali dieci volte e di’: “Nomi santi che scaturiscono da Dio, mostratemi un sogno veridico!”. Allora subito ti mostreranno un sogno veridico riguardo alla domanda che porrai”. Vorrei provare a chiarire il ruolo svolto dal sogno nell’esplorazione dell’ignoto. Inducendo un sogno il cabbalista può, in linea di principio, accedere a un piano nascosto dell’esistenza, e assistere a scene che sfuggono agli uomini in stato di veglia. In questo modo coglie fatti che avvengono comunque, ma che acquistano significato solo se si trascende l’approccio razionalistico. In altre parole, il sognatore può essere visto come un osservatore passivo. Ma non è così nella teoria del sogno nel Sefer ha-meshiv, secondo la quale il cabbalista non solo induce il sogno ma ne determina anche, in larga misura, il contenuto, decidendo se invocare Dio o gli angeli, oppure i demoni, e ponendo domande cui agli emissari celesti viene chiesto, se non addirittura imposto, di rispondere. Quando viene utilizzato per ricevere risposte precise a domande concrete, il sogno si può considerare una combinazione di magia e di tecniche mistiche. Se invece il sogno affronta questioni più ampie, come il significato della Torah o il corso della storia, chi lo fa diventa, o si può immaginare come, l’osservatore di un dramma storico, che si svolge in forme fissate da Dio. Ma anche in questo caso il cabbalista non è passivo: per far sì che la storia si dispieghi nella forma voluta da Dio, deve infatti intervenire per creare le circostanze adatte,confrontandosi con i poteri del male. I sogni contenevano dunque una quantità di informazioni “pratiche”, ma costituivano altresì una guida per l’attività religiosa. Per concludere questa breve discussione sul Sefe ha-meshiv, vorrei riportare un passo affascinante nel quale si tratta della fine di una visione, che contiene l’interpretazione di un pericopio della Genesi. Vorrei proporre una traduzione di poche righe, tutt’altro che trasparenti: “Ecco, questa visione si è compiuta, con l’aiuto di Dio Onnipotente, senza il Quale nulla può essere compiuto, Benedetto Egli sia e Benedetto il Suo Nome. E vieni questa notte, a metà della notte, là ti darò quello che amo, Benedetto sia Dio in eterno, Amen e Amen”. Ritengo che questa affermazione sia parte della rivelazione, e chi parla sia un angelo di alto rango, se non addirittura la Shekinah che si rivolge al cabbalista. Per un cabbalista che si occupi di sogni, un appuntamento nel cuore della notte è abbastanza appropriato. Benché altrove Dio stesso lo istruisca su tecniche magiche tanto potenti da avere effetto persino su di Lui, sugli angeli e sui demoni, secondo questo testo la relazione tra chi rivela e chi riceve è una relazione d’amore, quasi erotica. L’angelo che risponde usa infatti un’espressione che, sebbene ricordi il Cantico dei Cantici, non ha paralleli nella letteratura ebraica. L’uso del termine dodi (“mio diletto”) può essere interpretato in diversi modi. Dodi può infatti significare “amato”, e allora il testo si riferirebbe alla relazione che ha luogo a mezzanotte tra l’angelo che risponde e il cabbalista. Tuttavia, la traduzione che propongo mi sembra più corretta: l’angelo chiede al cabbalista di venire a mezzanotte perché a quell’ora l’angelo, o la Shekinah, daranno al cabbalista quello che lui, o Lei – ossia l’angelo o la Shekinah – amano, cioè un incontro con Dio. Subito dopo, non a caso, Dio viene benedetto. Questa sfumatura erotica non è forse tanto interessante per l’economia generale del Sefer ha-meshiv, ma può aiutarci a comprendere meglio i presupposti cabbalistici di un’altra importante figura notturna, il cabbalista del XVI secolo Rabbi Yosef Karo. L’importanza dei sogni per la composizione del vasto corpus del Sefer ha-meshiv sembra essersi diffusa molto al di là del circolo di cabbalisti spagnoli dell’epoca precedente l’espulsione. Lo spettro della coscienza La diversa ricezione dei messaggi divini o angelici può dipendere dalla tecnica utilizzata. A cambiare non è infatti solo la fonte del messaggio, né il messaggio in sé, ma anche la preparazione di colui che lo riceve. Un praticante più evoluto spiritualmente può sperimentare l’incontro con i mondi angelici o divini da sveglio, una persona meno preparata riuscirà a farlo solo in sogno. Questa insistenza sulla necessaria preparazione del mistico dimostra che secondo il cabbalista la tecnica è un fattore determinante – e in effetti, dal punto di vista del messaggio in sé, non c’è alcuna differenza significativa fra veglia e sogno. Per i cabbalisti i sogni veridici possono avere le origini più diverse, e i loro contenuti vengono solo in minima parte influenzati da emozioni intime o da preoccupazioni individuali; il messaggio trasmesso in sogno può assumere una veste o un’altra, essere chiaro o oscuro, ma, a differenza di quanto si sostiene in alcune concezioni moderne, viene trasmesso in un agente transpersonale. Il messaggio può assumere forme oscure se scende su un individuo meno preparato, o più trasparenti se chi lo riceve è un mistico esperto, ma ritengo che entrambi ammetterebbero che la sua sostanza è identica – sotto forme mutevoli, in fondo, come quelle di Elia, che può essere visto come divino, angelico e spirituale, o vestito di elementi materiali. Come il celeste messaggero gnostico, che deve indossare una veste per discendere, anche il messaggio può diventare più opaco se trasmesso in sogno. La comunità degli uomini può essere descritta come una sfera magica che riflette l’immagine esterna in modi differenti, secondo l’angolo e la natura degli individui che formano il caleidoscopio della coscienza collettiva. Per alcuni cabbalisti, tuttavia, l’immagine è una sola. Di fatto, durante una rivelazione in stato di veglia, il particolare stato del corpo e l’intensità della concentrazione riducono in qualche modo la distanza fra i due stati di coscienza, e in molti casi il cabbalista descrive le sue rivelazioni da sveglio come simili a quelle ricevute in sogno. Così, per esempio, leggiamo in R. Shem Tov ibn Ga’on: “Egli deve concentrare la sua mente fino a che odierà questo mondo e desidererà il mondo a venire. E non deve sorprendersi che essi [i Saggi] abbiano detto che una persona impegnata nei segreti del Carro non deve alzarsi di fronte a un uomo importante o a un anziano… E vedrà che non c’è fine al suo intelletto, e si addentrerà profondamente nei segreti del Carro e nelle strutture della Creazione, al punto in cui la bocca è incapace di parlare e l’orecchio è incapace di udire. Allora vedrà visioni di Dio, come un uomo che sogna e i cui occhi sono chiusi, come è scritto: “Io dormo ma il mio cuore veglia. La voce del mio Diletto bussa” (Ct, 5, 2). E quando apre i suoi occhi, e ancor più se un’altra persona gli parla, egli sceglierà la morte rispetto alla vita, poiché gli parrà di essere morto, dal momento che ha dimenticato ciò che ha visto. Allora guarderà nella sua mente come si guarda in un libro nel quale sono scritti questi grandi prodigi”. Se nella psicoanalisi il sogno trasmette messaggi codificati, lasciando allo psicoanalista il compito di interpretarli, nella Qabbalah avviene qualcosa di diverso. Secondo il Sefer ha-meshiv il messaggio nel sogno è relativamente chiaro, e non richiede interpretazioni. La realtà percepita in stato di veglia è ritenuta caduca, distorta e bisognosa di riparazione, mentre il sonno può presentare realtà più affidabili e sublimi, compreso il modo stesso di migliorare la realtà. Altri cabbalisti hanno forse un atteggiamento molto più positivo verso la realtà diurna, ma vedono comunque nel sogno un modo lecito per accostarsi all’ignoto. Il valore noetico del sogno nella Qabbalah è fortemente legato da un lato alla teologia trascendentale, che è la fonte del messaggio, e dall’altro a una teologia supplementare immanentistica che permette al Divino e al messaggio di penetrare nella realtà e nella coscienza umana. Le tecniche oniriche implicano che le varie forme di immanenza, ossia la presenza diretta del Divino in questo mondo, non siano statiche – o panteistiche nel senso più comune del termine -, ma costituiscano momenti dinamici di incontro provocati tanto dall’iniziativa divina quanto da quella umana. È evidente qui il contrasto tra l’approccio della Qabbalah e quello della psicoanalisi: i mistici ebrei ricorrono a tecniche per indurre i sogni, ma l’aspetto interpretativo è relativamente ridotto, mentre nella psicoanalisi la produzione onirica è molto meno importante dell’interpretazione. Nel mondo non redento, i sogni sono luoghi di incontri che un tempo avvenivano nello stato di veglia; sono piccoli frammenti di quella profezia che una volta permeava la vita degli ebrei e che i cabbalisti tentano di ripristinare. Dopo aver soppiantato l’antica profezia ebraica, molto più preoccupata di questioni nazionali ed etiche, le pratiche divinatorie medioevali risorgono nel XV secolo con incredibile forza. Possiamo quindi ravvisare nella “notturnizzazione” dei processi noetici – che ebbe inizio in misura limitata già nel XIII secolo, si sviluppò vistosamente intorno agli anni Settanta del XV, e divenne ancor più evidente nel XVI – un’evoluzione assai interessante della Qabbalah. In altre parole, con il trascorrere dei secoli le tecniche oniriche, e in questo caso le formule per indurre i sogni, diventano sempre più influenti nell’economia generale della Qabbalah, trasformando il corpo umano e i processi interni di ciascuno in un “tempio” adatto all’incontro con il Divino.
Moshe Idel è oggi il più profondo conoscitore della mistica
ebraica, che ha studiato in molte manifestazioni diverse,
a partire dall’opera e dal pensiero di Abulafia. Si è
inoltre occupato della Qabbalah italiana del Rinascimento,
dei rapporti tra misticismo e Hassidismo e della
tradizione del “golem”. Attualmente insegna Pensiero
ebraico all’Università di Gerusalemme.
i L’idea che le lettere dell’alfabeto ebraico siano una tecnica fondamentale per una conoscenza esperienziale di Dio è di capitale importanza nella Qabbalah estatica.
ii I sigilli sono combinazioni differenti delle lettere del Tetragramma che secondo il Sefer yetzirah marcano le estremità dell’universo, e quindi lo limitano.
iii Si tratta di una tecnica mantica menzionata diverse volte nella Bibbia (la prima in Es, 28, 29-30). Secondo l’interpretazione talmudica funzionava mediante l’illuminazione di certe lettere sul pettorale del Sommo Sacerdote. Combinate fra loro, queste lettere fornivano la risposta alla sua domanda [N.d.T.].
iv Il cabbalista dispone le cinque parole dell’originale ebraico del versetto in tutte le loro possibili combinazioni, che ammontano a sessanta.
v Infatti, le 12 consonanti dei nomi Eheyeh, hhwh, Adonay, equivalgono in gematreya a 112, come le consonanti ybq.
vi La gematreya di questo nome divino è 65.
vii Della natura angelica. Assistiamo qui a un’interessante forma di immanenza tramite la presenza del Nome divino in creature ipodivine.
viii Questa è la classica interpretazione cabbalistica dell’incenso; basandosi su un’etimologia erronea, i cabbalisti, nello Zohar e nel Sefer ha-temunah, interpretavano il termine qetoret come una forma aramaica della radice ebraica QShR, ossia “legare”.
ix In ebraico, malbush, la veste che ogni entità spirituale deve indossare quando discende nei mondi inferiori per rivelarsi agli uomini.
x A quanto pare la discesa alla Merqavah è identificata con la lettura mistica o magica della Torah, tema che compare nell’Ebraismo in fonti più antiche.
xi Il digiuno di quarantacinque giorni è già menzionato nella letteratura delle Hekalot in relazione al tentativo di acquisire la conoscenza mistica; nel nostro contesto è legato ai processi di spiritualizzazione, che permettevano ai saggi di ottenere la visione. È interessante osservare che il digiuno era connesso alla profezia.
xii Ossia la guida angelica.
xiii In ebraico la radice ‘tq significa “copiare, trascrivere”. Tuttavia, si tratta della trasmissione delle scienze dal la loro fonte celeste al nostro mondo tramite la trascrizione dei libri divini.
xiv Questo sembra essere il modo in cui opera la magia nel presente sistema cabbalistico. L’idea è che le lettere delle invocazioni ascendano e raggiungano la Divinità.
Scrivi un commento